L’EXPRESSION PRIMITIVE E IL MITO DELLE ORIGINI: HERNS DUPLAN, IL FONDATORE
Haitiano, incarnazione di un vero e proprio crogiuolo di civiltà, il fondatore di Expression Primitive fu attirato dall’antropologia sin da bambino (“Il mio primo passo verso l’antropologia risale all’età di otto anni, quando mi ritrovai su un palcoscenico”) [1] e ha fatto della danza molto più di un mestiere; per lui è un modo di affrontare la vita, vivendo il corpo in pienezza. Duplan ha tratto diversi elementi per il suo lavoro dal modern primitive di Kathrine Dunham [2] maturando la significativa scelta di veicolarli a tutti, non solo a uno sparuto gruppo di professionisti della danza. Con la Dunham sperimentò soprattutto le possibilità offerte dalla ricerca fondata sull’improvvisazione. Tuttora, durante i suoi atelier, egli ha fatto di quella che lui definisce la “recherche en création” uno dei momenti più importanti, se non il più importante, di una sessione di lavoro.
Non è facile scrivere di questo maestro, che, grande affabulatore, per temperamento e per cultura diffida della parola scritta e solo di recente ha accettato la sfida, come dice lui, “di trasferire in un segno ciò che è vivo dentro di me” [3].
D’altro canto, proprio perché ancora troppo poco si parla di lui e della sua “démarche”, del modo di procedere che lo ha portato a dar vita all’Expression Primitive, è bene partire, come direbbe lui stesso, dal mito delle origini.
Duplan considera la sua ricerca il risultato di “un’eredità meticcia” che lo ha portato a diventare “osservatore sensibile degli elementi universali dei più diversi modi di espressione” [4]. Nel 1969 ha coniato il termine “Expression Primitive” per dare un nome a tale percorso di ricerca, mentre man mano veniva chiarendo a se stesso alcuni suoi principi fondamentali.
“Expression” rimanda a ex-primere, quindi “premere fuori, far risaltare, far uscire”. “Primitive” rimanda a “primo, originale, originario, fondamentale”, e richiama sia ciò che sta ai primordi in senso ontologico, universale, sia ciò che è iniziale, che sta al principio di ogni esistenza individuale, di ogni avventura umana. “Il senso del titolo ‘Expression Primitive’ racchiude la possibilità di utilizzare la risorsa prima, il corpo, nutrirsene, per esprimersi dal punto zero all’infinito” [5].
Duplan muove un severo rimprovero a coloro che dopo di lui si sono relazionati con questo tema di ricerca che è l’Expression Primitive: aver pensato di trovarsi di fronte a un bel prodotto, e di poterne acquisire il nome come se si trattasse di un marchio, di una etichetta.
Nel corso degli anni, Duplan è diventato ancora più intransigente su questo punto, tanto che preferisce distinguere una tecnica di lavoro con contenuti e caratteristiche precise, a cui può dare il nome di “tecnica Herns Duplan”, dall’Expression Primitive, che gli appare sempre più un’utopia; oppure, giusto per dare una parvenza di maggiore certezza, definisce l’Expression Primitive una ricerca antropologica sul movimento; quindi, per suo statuto, essa risulta essere qualcosa di inafferrabile, un obiettivo verso il quale tendere senza sosta, che permette di canalizzare tutte le energie del corpo verso il massimo potenziale espressivo, ed è sottoposta alle leggi dell’evoluzione permanente.
La sua ricerca, afferma Duplan, si basa sulla dimensione animista, “non tanto la religione di una data cultura, ma il ceppo comune, fonte, materiale, che al di là delle nostre diversità e della nostra unicità ci lega, ci permette di conoscerci l’uno con l’altro, perché i valori di questa dimensione sono equanimi, ci sottomettono alle stesse leggi, ci guidano senza alcun ordine gerarchico, si fondano sul principio ciclico della vita, materializzando questi dati con il corpo, il corpo nella sua globalità, nella sua entità… Ed è nel cuore dell’antropologia che io mi colloco” [6].
Mi sembra che questa affermazione conclusiva sia una chiave di lettura importante; non è la prima volta che si sente parlare di animismo in termini antropologici, svincolati da qualsiasi accezione culturale o religiosa. Ad esempio Marcel Jousse, gesuita, antropologo, ha categorizzato alcuni principi di antropologia gestuale. Per lui, qualsiasi processo di interazione, sia a livello cosmologico sia a livello umano, si iscrive in una legge trifasica: agente – azione – agito; recepire/ricevere – prendere coscienza/registrare – rigiocare. “Quello che viene chiamato animismo è il gioco perfettamente antropologico dell’uomo, il quale vedendo un agito, gioca l’azione e crea un agente” [7].
Questo studioso fa un’altra interessante affermazione: è riduttivo parlare di danze per i popoli primitivi, perché non si tratta di arte o di una forma estetica; essi si muovono esprimendo la loro vita, agiscono i loro miti, la loro tradizione cosmologica e teologica. Jousse preferisce riferirsi a tali espressioni con il termine di mimodrammi esplicativi.
Tornando all’Expression Primitive, si tratta di un lavoro che porta a cancellare le distanze culturali non solo da un punto di vista geografico, ma anche temporale; un altro concetto portante di Duplan, infatti, recita che “dall’alba dell’umanità il nostro corpo non è cambiato”, noi usiamo sempre le stesse modalità, anche se sono cambiate le società (Residenziale della Scuola di Formazione Professionale in DMT Espressiva e Psicodinamica, agosto 2002).
[2] L’incontro con Kathrine Dunham fu una tappa fondamentale nel percorso umano e professionale di Herns Duplan. La Dunham, danzatrice e antropologa, ideò una tecnica che chiamò modern primitive, in quanto calava elementi delle danze primitive in un contesto moderno, e nel comporre le sue coreografie portò in primo piano l’eredità africana in tutti i suoi aspetti, testimoniandone l’immensa diffusione e le sue ramificazioni in Occidente.
[3] H. DUPLAN, Expression Primitive,cit.
[4] Ibidem.
[5] Ibidem.
[6] Ibidem.
[7] M. JOUSSE, L’antropologia del gesto, Edizioni Paoline, Milano.1979, p. 84.